Non è la mia festa

di Celeste INGRAO

Quando ero bambina, l’8 marzo era per me una data che segnava la mia diversità. La diversità di una bambina “comunista” in un mondo diviso in maniera netta e senza possibilità di conciliazione. Mia mamma mi dava un mazzolino di mimose che io posavo sulla cattedra della maestra. Erano naturalmente le uniche mimose.
Si dice che i bambini aspirino soprattutto ad essere uguali agli altri.
Ma a me quella diversità non pesava: non era isolamento ma identità, non emarginazione ma appartenenza a una comunità.
Una comunità “altra” ma forte e coesa. E l’8 marzo era quindi anche la mia festa.

Poi le mimose si sono moltiplicate. Ne ricevevo anch’io dai colleghi di lavoro e dagli amici. Ma non c’erano solo quelle, ormai “doverose”, mimose.
C’erano i cortei, gli slogan, le compagne, i pensieri, il desiderio di libertà, la ricerca di un altro modo di stare al mondo. Non si chiamava più diversità ma differenza. E l’8 marzo era sempre la mia festa.
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Parla con lei: Giorgia e il sindacato

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In occasione dell’8 marzo Essere Sinistra intervista le donne. Quelle che tutti i giorni vivono la realtà della vita in Italia. Che credono, ricordano, immaginano, progettano. Vivono, appunto e ci danno la loro sensazione del mondo. Sono diventate un soggetto attivo sociale, culturale, politico grazie alla loro lotta e ai partiti di sinistra.
Perchè la sinistra è emancipazione di ogni forma di vita umana che non deve più essere oppressa o repressa in alcun modo.
Per questo i lavoratori vogliono parlare ed essere ascoltati. Come gli studenti, le minoranze, i poveri. E da quando parlano e si ascoltano le donne, abbiamo un mondo più degno di essere vissuto. 

La Redazione


Parliamo con GIORGIA, 42 anni, di Bologna. Convivente, un figlio.


ES: Ciao Giorgia. Sei giovane, puoi dirmi la tua età? 

Ho 42 anni.

ES: Oggi si dice che sinistra e destra non sono più blocchi che abbiano senso. Tu che ne pensi?

Per me sono storielle. Io sono di sinistra, non per scelta ma per natura! Vuole dire essere contro le ingiustizie e dalla parte dei più deboli. Diciamo che, appunto, la mia natura e forse anche la mia educazione non mi hanno lasciato scelta.

ES: Attualmente lavori? Cosa pensi del Sindacato? Hai avuto occasione di confrontarti con questo tipo di organizzazione dei lavoratori?

Sì, per fortuna lavoro stabilmente da molto tempo. Certo, sono iscritta ad un sindacato, ma da un po’ di tempo ho fatto di più. Ho deciso di intraprendere l’attività sindacale per poter dire a me stessa che almeno ‘ci ho provato’! Troppo facile lamentarsi e mandare avanti gli altri a cercare di far funzionare le cose! Non fa per me!

ES: Hai famiglia? Figli? Come riesci, se riesci, a conciliare famiglia e lavoro ?

Sì, convivo e abbiamo un magnifico figlio. E’ dura mettere in fila tutto. Ma sostanzialmente faccio come fanno tutte. Mi rimbocco le maniche e mi sono specializzata in triplice salto mortale. Per fortuna in famiglia non sono l’unica a farlo! Continua a leggere

Parla con lei: Marina e l’indipendenza

 

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In occasione dell’8 marzo Essere Sinistra intervista le donne. Quelle che tutti i giorni vivono la realtà della vita in Italia. Che credono, ricordano, immaginano, progettano. Vivono, appunto e ci danno la loro sensazione del mondo. Sono diventate un soggetto attivo sociale, culturale, politico grazie alla loro lotta e ai partiti di sinistra.
Perchè la sinistra è emancipazione di ogni forma di vita umana che non deve più essere oppressa o repressa in alcun modo.
Per questo i lavoratori vogliono parlare ed essere ascoltati. Come gli studenti, le minoranze, i poveri. E da quando parlano e si ascoltano le donne, abbiamo un mondo più degno di essere vissuto.

La Redazione


Parliamo con MARINA, 74 anni, di Marino (RM). Vedova, senza figli.


ES: Quando eri ragazza come immaginavi (o ti hanno fatto immaginare) che sarebbe stata la tua vita una volta diventata donna?

In famiglia eravamo quattro femmine ed un maschio. Lui, a cui ho dedicato – quando eravamo piccoli – le attenzioni di una madre, doveva diventare “qualcuno”. Noi sorelle, provvedere alla famiglia e trovarci un marito. Ma a me piaceva lavorare, per essere autonoma, e l’ho imposto presto ai miei genitori. Dall’età di sedici anni. Le mie sorelle, invece, hanno seguito quello che volevano mio padre e mia madre. Hanno fatto studiare mio fratello, il maschio della famiglia, e lui mi dice spesso che avrei dovuto studiare io, invece.

ES: Le aspettative che tutti avevano su di te, hanno influenzato la tua vita? Se sì, in che misura?

Io, e molte altre mie amiche abbiamo fatto lo sbaglio di sposarci solo per fuggire dall’autorità dei genitori. Non si dovrebbe mai fare.

ES: Già a scuola o nell’infanzia ti sei sentita diversa per il fatto di essere femmina? E cosa hai provato?

Diversa sì, inferiore mai. Anzi, ho sempre visto che sono gli uomini, nelle condizioni difficili, ad avere paura. E noi a risolverle.

ES: Hai mai avuto paura di subire un’aggressione o una violenza sessuale?

Non mi è mai successo. Da giovane ero desiderata, ricercata, ma non ho mai vissuto esperienze di violenza. Continua a leggere

Parla con lei: Laura, storia di una violenza

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In occasione dell’8 marzo Essere Sinistra intervista le donne. Quelle che tutti i giorni vivono la realtà della vita in Italia. Che credono, ricordano, immaginano, progettano. Vivono, appunto e ci danno la loro sensazione del mondo. Sono diventate un soggetto attivo sociale, culturale, politico grazie alla loro lotta e ai partiti di sinistra.
Perchè la sinistra è emancipazione di ogni forma di vita che non deve più essere oppressa o repressa in alcun modo.
Per questo i lavoratori vogliono parlare ed essere ascoltati. Come gli studenti, le minoranze, i poveri. E da quando parlano e si ascoltano le donne, abbiamo un mondo più degno di essere vissuto.

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LAURA, 50 anni, di Firenze. Divorziata, oggi convivente, due figlie ormai adulte.


ES: Quando eri ragazza come immaginavi (o ti hanno fatto immaginare) che sarebbe stata la tua vita una volta diventata donna?

LAURA: In realtà non mi hanno mai fatto immaginare niente, nel senso che mi sono resa conto con gli anni, che la mia famiglia non ha fatto nessun investimento su di me, non mi ha in nessun modo aiutata ad indirizzare la mia vita e non perchè, così, fossi libera di scegliere, bensì per incapacità sul piano educativo e per un certo tipo di cultura vigente.
Era rarissimo, per le ragazze della mia generazione, trovarsi in una famiglia che vivesse le figlie come persone. La regola era che fosse inutile, per esempio, farle studiare perchè poi “si fidanzano e piantano gli studi“. Il modello era che dovessimo trovare un marito a cui affidarci e con cui fare figli. Il lavoro era una condizione necessaria ma a sostegno della famiglia, non come mezzo di realizzazione personale.
Quindi, per me, fino ai 14-15 anni, bastava quello. E’ stato dopo che ho compreso che dovessi pensarmi in una dimensione diversa e dentro sentivo che quella dimensione la volevo, la volevo fortemente. Per ciò che sentivo in me in termini di curiosità di conoscere e apprendere, immaginavo che avrei avuto un lavoro appagante e una bella famiglia. E così non è stato.

ES: Già a scuola o nell’infanzia ti sei sentita diversa per il fatto di essere femmina? E cosa hai provato?

LAURA: No, non sentivo nessuna diversità, anzi. Per carattere ho sempre socializzato molto con i maschi sin da piccola. Non ho mai amato i giochi da femmina (bambole, etc.), preferivo i giochi di movimento e con i miei amici mi divertivo molto di più che con le mie amiche. Sentivo, però, che c’era un continuo indirizzarci verso una divisione. Non a caso la scuola elementare dell’epoca non era composta di classi miste. Non a caso i nostri genitori tendevano a separarci anche nel gioco. Mia madre si lamentava non poco del mio essere un maschiaccio, a detta sua, e ho fatto non poca fatica a rendermi conto, man mano crescessi, che l’essere esuberante come un maschio non mi tarpava anche dallo sviluppare la mia femminilità. Continua a leggere

Parla con lei: Liana, la famiglia e la libertà

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In occasione dell’8 marzo Essere Sinistra intervista le donne. Quelle che tutti i giorni vivono la realtà della vita in Italia. Che credono, ricordano, immaginano, progettano. Vivono, appunto e ci danno la loro sensazione del mondo. Sono diventate un soggetto attivo sociale, culturale, politico grazie alla loro lotta e ai partiti di sinistra.
Perchè la sinistra è emancipazione di ogni forma di vita che non deve più essere oppressa o repressa in alcun modo.
Per questo i lavoratori vogliono parlare ed essere ascoltati. Come gli studenti, le minoranze, i poveri. E da quando parlano e si ascoltano le donne, abbiamo un mondo più degno di essere vissuto. 

La Redazione


Parliamo con LIANA, 72 anni, di Roma. “Vedova” con due figli.


 

ES: Quando eri ragazza come immaginavi (o ti hanno fatto immaginare) che sarebbe stata la tua vita una volta diventata donna?

Io volevo una famiglia dove vivere momenti di felicità. E devo dire che l’ho avuta, nonostante le incomprensioni, i dolori, le difficoltà.

ES: Le aspettative che tutti avevano su di te, hanno influenzato la tua vita? Se sì, in che misura?

Io sono andata a convivere, a venti anni, con un uomo di sedici anni più grande di me, divorziato. E non mi sono voluta sposare, accettando il fatto che dopo la prima volta lui non si sarebbe mai più risposato. Questo ha sempre creato un’atmosfera di screzio con i miei genitori. Anche se gli anni l’hanno molto diluita.

ES: Già a scuola o nell’infanzia ti sei sentita diversa per il fatto di essere femmina? E cosa hai provato?

Da bambina, a scuola, non ho mai provato disagio. Da ragazza vedevo che i miei genitori volevano tarparmi le ali. E volevo fuggire da casa. Erano opprimenti, sopratutto mia madre. Controllo su tutto, e non lo sopportavo. Fino alla nascita dei miei figli, invece, il mio compagno mi lasciava molto libera.

ES: Hai mai avuto paura di subire un’aggressione o una violenza sessuale?

Sì, e mi sono sempre fidata del mio istinto per evitare incontri con uomini di cui sentivo di non fidarmi. Il più grande fastidio era prendere il tram, negli anni ’60, e dover sopportare “la mano morta” degli uomini, soprattutto gli anziani. Facevo chilometri a piedi per non subire quel fastidio e quella umiliazione. Continua a leggere

Parla con lei: Serena e il diritto di essere noi stesse

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In occasione dell’8 marzo Essere Sinistra intervista le donne. Quelle che tutti i giorni vivono la realtà della vita in Italia. Che credono, ricordano, immaginano, progettano. Vivono, appunto e ci danno la loro sensazione del mondo. Sono diventate un soggetto attivo sociale, culturale, politico grazie alla loro lotta e ai partiti di sinistra.
Perchè la sinistra è emancipazione di ogni forma di vita umana che non deve più essere oppressa o repressa in alcun modo.
Per questo i lavoratori vogliono parlare ed essere ascoltati. Come gli studenti, le minoranze, i poveri. E da quando parlano e si ascoltano le donne, abbiamo un mondo più degno di essere vissuto. 

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Parliamo con Serena, 42 anni, di Milano. Convivente, una figlia di 13 anni.


 

ES: Quando eri ragazza come immaginavi (o ti hanno fatto immaginare) che sarebbe stata la tua vita una volta diventata donna?

Quando da bambina immaginavo il mio futuro per prima cosa mi vedevo sposata e madre. La parte di realizzazione personale non era nemmeno presa in considerazione.
Da ragazza, alla moglie e alla madre, si è aggiunta la visione di me come donna con molteplici interessi da seguire e indipendente economicamente, seppur comunque accompagnata ad un compagno di vita.
Nella realtà sono stata moglie e madre e sono ora donna lavoratrice madre e compagna e coltivo alcuni degli interessi che fin da ragazza mi hanno accompagnata.

ES: Le aspettative che tutti avevano su di te, hanno influenzato la tua vita? Se sì, in che misura?

Si, molto. Io son sempre stata una figlia buona, tranquilla posata senza grilli per la testa per nulla ribelle e meno ancora contestataria. Da me ci si aspettava sempre un comportamento adeguato a queste caratteristiche. E quando capitava che mi ribellassi o non mi comportassi come aspettato vivevo una condizione di forte crisi dentro di me.

ES: Già a scuola o nell’infanzia ti sei sentita diversa per il fatto di essere femmina? E cosa hai provato?

No, mai. Mi sono sempre sentita al pari di un compagno maschio a scuola. Quello che facevano i maschi potevo farlo anche io, se lo volevo.

ES: Hai mai avuto paura di subire un’aggressione o una violenza sessuale?

La paura di un’aggressione per me è sempre stato solo a livello di riflessione. Non ho mai avuto effettivamente paura di essere seguita o aggredita nella vita reale. Diciamo che mi capita più di riflettere sul fatto che potrebbe succedere a me o, peggio ancora, a mia figlia.

ES: Come ha condizionato la tua vita questa paura?

Nessun condizionamento. Sono sempre andata in giro tranquilla. Forse sono un po’ più attenta agli spostamenti di mia figlia perchè ancora piccola.

ES: Hai mai subito una qualsiasi forma di violenza (anche psicologica) da parte di un uomo?

Si, da parte del mio ex marito se vogliamo considerare l’indifferenza nei miei confronti una forma di violenza psicologica.
E da parte di un ex fidanzato particolarmente violento verbalmente.
Entrambi comunque sono ex. Continua a leggere

Parla con lei: Claudia, un mondo e tutto il resto

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In occasione dell’8 marzo Essere Sinistra intervista le donne. Quelle che tutti i giorni vivono la realtà della vita in Italia. Che credono, ricordano, immaginano, progettano. Vivono, appunto e ci danno la loro sensazione del mondo. Sono diventate un soggetto attivo sociale, culturale, politico grazie alla loro lotta e ai partiti di sinistra.
Perchè la sinistra è emancipazione di ogni forma di vita umana che non deve più essere oppressa o repressa in alcun modo.
Per questo i lavoratori vogliono parlare ed essere ascoltati. Come gli studenti, le minoranze, i poveri. E da quando parlano e si ascoltano le donne, abbiamo un mondo più degno di essere vissuto. 

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Parliamo con CLAUDIA, 67 anni, di Ravarino (MO). Sposata, una figlia.


ES: Ciao, vuoi dirmi qualcosa di te, del  tuo carattere, dei  tuoi desideri delle aspettative per il futuro tuo personale?

Mah, vediamo. Per il carattere, sono socievole, testona, altruista, cogliona. Le aspettative sono sempre troppe e regolarmente vengono deluse. Sai, ho sempre sognato fin da piccola di realizzare qualcosa che servisse alla gente per vivere bene. Ma la vita gira a volte in modo casuale.

ES: Tu sei di una generazione che ha lottato sicuramente per affermarsi. Come ti hanno fatto sentire la famiglia intorno a te, gli amici maschi?

Eh, bella domanda. Sì, io sono di quelle educate bene, ad esempio alla verginità fino al matrimonio. Educazione sessuale era sconosciuta, forse anche una parolaccia. Era il maschio che prendeva le iniziative. Quando ero ragazzina, l’unica cosa che mi veniva detta era di non restare incinta.

ES: Ma tu stavi maturando altre idee, altri sentimenti? Come vivevi questo clima di paura dell’amore?

Hai detto giusto: voglia intensa, sogni e paure di amare. Amare, oddio, anche questa era una parolona, solo da film. Però devo anche dire che il mio carattere di sognatrice mi ha spinto in direzione opposta. Andare incontro ai sentimenti, non fuggirli. Difficile poterli vivere con le paure. Ma è ugualmente stata una bella adolescenza, di emozioni, di slanci. Continua a leggere

Parla con lei: Giuliana e il valore dell’autonomia

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In occasione dell’8 marzo Essere Sinistra intervista le donne. Quelle che tutti i giorni vivono la realtà della vita in Italia. Che credono, ricordano, immaginano, progettano. Vivono, appunto e ci danno la loro sensazione del mondo. Sono diventate un soggetto attivo sociale, culturale, politico grazie alla loro lotta e ai partiti di sinistra.
Perchè la sinistra è emancipazione di ogni forma di vita umana che non deve più essere oppressa o repressa in alcun modo.
Per questo i lavoratori vogliono parlare ed essere ascoltati. Come gli studenti, le minoranze, i poveri. E da quando parlano e si ascoltano le donne, abbiamo un mondo più degno di essere vissuto. 

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Parliamo con GIULIANA, 65 anni, di Milano. Sposata, due figlie


ES:  Quando eri ragazza come immaginavi sarebbe stata la tua vita una volta diventata donna?

Volevo studiare lingue e immaginavo di trovare un lavoro che mi permettesse l’affrancamento economico dalla famiglia d’origine, un lavoro che mi portasse a viaggiare, poi, nel tempo mi vedevo con una famiglia mia.

ES: Quanto l’idea che ti eri fatta si è rivelata aderente a ciò che è stara finora?

Non del tutto aderente. Non ho potuto continuare gli studi come avrei voluto, e non ho potuto realizzare il desiderio di un lavoro indipendente che mi portasse a viaggiare.

ES: Che aspettative aveva, su di te, in quanto figlia femmina, la tua famiglia d’origine?

Parecchie, su tutte il fatto che contribuissi al bilancio familiare, e per questo mi hanno mandato a lavorare molto presto, anche se io avrei voluto proseguire gli studi.

ES: In che misura ti hanno condizionata?

Molto condizionata. I miei genitori, immigrati per sfuggire alla miseria, non vedevano altro per me che un lavoro qualsiasi che consentisse di aiutare economicamente la famiglia. Continua a leggere

Parla con lei: Monica e l’amore per gli altri

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In occasione dell’8 marzo Essere Sinistra intervista le donne. Quelle che tutti i giorni vivono la realtà della vita in Italia. Che credono, ricordano, immaginano, progettano. Vivono, appunto e ci danno la loro sensazione del mondo. Sono diventate un soggetto attivo sociale, culturale, politico grazie alla loro lotta e ai partiti di sinistra.
Perchè la sinistra è emancipazione di ogni forma di vita umana che non deve più essere oppressa o repressa in alcun modo.
Per questo i lavoratori vogliono parlare ed essere ascoltati. Come gli studenti, le minoranze, i poveri. E da quando parlano e si ascoltano le donne, abbiamo un mondo più degno di essere vissuto.

La Redazione


Parliamo con MONICA, 43 anni, di Bologna, sposata con due figli.


ES: Ciao Monica. Sei giovane. Oggi si dice che sinistra e destra non sono più blocchi che abbiano senso. Tu che ne pensi?

Ho 43 anni. Credo che abbiano senso sul piano dei valori: una visione della società basata sulla solidarietà e l’equità sostanziale, contrapposta ad un’impostazione individualista che si accontenta di un’uguaglianza solo formale. Non so invece quanto senso abbiano sul piano politico: credo che oggi il pragmatismo possa essere più utile delle affermazioni di principio.

ES: Attualmente lavori? Cosa pensi del Sindacato? Hai avuto occasione di confrontarti con questo tipo di organizzazione dei lavoratori? Che cosa vorresti che migliorasse in Italia nelle relazioni sindacali?

Sono una lavoratrice autonoma, ma mi trovo spesso a confrontarmi con i sindacati. Credo abbiano un ruolo fondamentale, ma penso anche che non siano sempre in grado di svolgerlo e ciò per la scarsa preparazione delle persone, soprattutto nelle rappresentanze aziendali.

ES: Hai famiglia? Figli? Come riesci, se riesci, a conciliare famiglia e lavoro? Per te l’Europa può servire a migliorare la situazione della donna italiana?

Sono sposata con due figli e se riesco faticosamente a conciliare famiglia e lavoro è solo grazie all’aiuto di mia madre. Nessuna scuola o asilo tiene i bambini fino alle 20 o quando sono malati. Non credo sia una questione di Europa, ma di cambio di mentalità. Continua a leggere

Parla con lei: Zenilda e la dignità di una donna

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In occasione dell’8 marzo Essere Sinistra intervista le donne. Quelle che tutti i giorni vivono la realtà della vita in Italia. Che credono, ricordano, immaginano, progettano. Vivono, appunto e ci danno la loro sensazione del mondo. Sono diventate un soggetto attivo sociale, culturale, politico grazie alla loro lotta e ai partiti di sinistra.
Perchè la sinistra è emancipazione di ogni forma di vita umana che non deve più essere oppressa o repressa in alcun modo.
Per questo i lavoratori vogliono parlare ed essere ascoltati. Come gli studenti, le minoranze, i poveri. E da quando parlano e si ascoltano le donne, abbiamo un mondo più degno di essere vissuto.

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Parliamo con ZENILDA, 81 anni, di Roma. Divorziata, tre figli.


ES: E’ sempre indelicato chiedere ad una Signora l’età, quindi diciamo che Lei ha un’età di tutto rispetto. Ma la protagonista di questa intervista è come un fiume in piena.

Ho 81 anni e sono nata in pieno regime fascista a Roma, eravamo 6 fratelli e con noi viveva anche la mia nonna materna che è morta nel 1943.

ES: Che tipo di educazione ha ricevuto dai suoi genitori?

Ho ricevuta una educazione severa, all’antica. Mia madre era del 1896 e aveva conservato le rigide idee di quel secolo. Era una donna forte e determinata che aveva vissuto due guerre e una dittatura. Non approvava neanche il rapporto d’amicizia fra donne e forse per questo nemmeno io ho mai avuto molte amiche.

ES: I suoi genitori hanno condizionato la sua crescita o l’hanno lasciata libera di scegliere e di sbagliare?

Ovviamente con una educazione come quella che ho ricevuto, sono stata condizionata e parecchio. Avevo anch’io una mentalità molto rigida e solo a 60 anni, dopo un dolore molto forte, la maggiore delle mie figlie mi ha convinto ad andare da uno psicologo per tentare di sciogliere un po’ quei nodi che mi hanno ‘legata’ per tanto tempo anche nei rapporti con la famiglia che poi mi sono creata.
Ero una ragazza ubbidiente. Solo sul mio matrimonio ho puntato i piedi. I miei genitori non volevano per vari motivi: lui, era tedesco e per la memoria della guerra per mia madre era ancora troppo viva. Dopo il matrimonio sarei andata in Germania, lontano da loro, per questo forse non lo ritenevano adatto a me. Col senno di poi, forse non avevano torto!

ES: Quali erano i suoi sogni da realizzare, le sue aspirazioni e che tipo di percezione ha sempre avuto rispetto al ruolo della figura femminile nella società?

Avrei voluto fare l’insegnante, avrei voluto studiare lingue all’Università di Napoli. Ma mia madre non ammetteva neanche l’idea che una figlia, non sposata, potesse vivere da sola, fuori casa e in un’altra città per giunta.
Secondo lei la donna doveva rimanere a casa, mentre secondo me aveva il diritto, ma anche il dovere, di impegnarsi anche fuori casa, nella società e quindi di avere una professione o comunque un lavoro per realizzare se stessa.
Con l’aiuto di mio padre arrivai ad un compromesso, mi spiegò che in quel momento non era in condizioni di mantenermi all’Università, ma che avrebbe cercato un modo per farmi conseguire un diploma superiore se non una laurea – avevo conseguito nel 1953 la maturità classica – così che in un futuro avrei potuto lavorare.
Nella mia testa mi ha sempre martellato l’idea che una donna abbia parità di diritti rispetto ad un uomo, ma a casa mia non era così. La precedenza spettava a mio fratello, il figlio maschio, perché si riteneva all’epoca che avrebbe dovuto in futuro mantenere una famiglia. Secondo me invece anche una donna doveva essere in grado di farlo. Continua a leggere