Donne e politica: in mano agli uomini l’80% degli incarichi istituzionali. E sono i più importanti

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Non è una leggenda urbana, i dati sono davvero sconfortanti.
Basta leggere e controllare i grafici statistici per capire che ancora oggi sulle poltrone al vertice sono seduti ancora gli uomini, a prescindere dalle loro capacità, molto spesso inferiori a quelle di una donna.

la Redazione di ESSERE SINISTRA


 

[Articolo da “la Repubblica” del 7 marzo 2014]

Dal Quirinale alle Province, passando per ministeri, parlamento, Regioni, giunte e consigli comunali, il 79,27% degli incarichi istituzionali in Italia oggi è ancora in mano agli uomini. L’analisi della rappresentanza di genere, infatti, parla chiaro: le donne costituiscono il 19,73% sul totale dei ruoli politici elettivi o di nomina. L’incidenza percentuale minore in assoluto è riscontrabile nei consigli regionali, dove è ‘rosa’ il 13,71% delle seggiole: su un totale di 1.065 rappresentanti che siedono nei ‘parlamentini’ di tutta Italia, ben 919 sono uomini e soltanto 146 donne. Emblematico il risultato delle recenti elezioni in Sardegna: nel nuovo consiglio regionale gli eletti sono 60, ma le donne si fermano a quattro. Peggio riesce a fare soltanto la Calabria che ne conta 2 su 51.

Esame a parte meritano i Comuni: su 106 sindaci di capoluogo di provincia, le donne non vanno oltre quota tre (il 2,83 per cento): in Italia oggi sono donne i primi cittadini di Ancona, Fermo e Alessandria.

 

Secondo i dati forniti da Openpolis a Repubblica.it, l’Italia è un Paese che è arrivato tardi a porsi il tema della rappresentanza di genere nelle proprie istituzioni. Le donne hanno partecipato alla lotta di liberazione dal nazi-fascismo e ottenuto nel 1946 il diritto di voto, negli anni ’60 e ’70 il movimento femminista ha contribuito al cambiamento della società italiana e all’introduzione di leggi innovative (divorzio, interruzione di gravidanza, diritto di famiglia, servizi sociali). Nonostante questo, per avere la prima donna ministro il Paese ha dovuto aspettare il 1976, quando ai vertici del dicastero del Lavoro andò Tina Anselmi (Dc).

Da allora, e soprattutto negli ultimi anni, sono stati compiuti passi avanti significativi, ma la strada da percorrere è ancora lunga. Dal 1979 a oggi, sono 23 i ruoli chiave ricoperti da altrettante donne in Italia: da Nilde Iotti che fu eletta presidente della Camera 45 anni fa, fino a Laura Boldrini che è andata a ricoprire il medesimo incarico lo scorso anno. Nel mezzo, due ministri dell’Interno – Rosa Russo Iervolino e Annamaria Cancellieri – e 7 sindaci di capoluoghi di regione.

Dal 1948 ad oggi, la legislatura attuale è quella con la maggior presenza femminile in parlamento (30%) e il governo di Matteo Renzi ‘vanta’ il maggior numero di donne ministro (50%). Al contempo, però, la disparità fra uomini e donne in politica si accentua quando gli incarichi sono più prestigiosi.

“La scelta di nominare otto ministre all’interno del Governo – spiega Titti Carrano, presidente di Di.Re (Donne in Rete contro la violenza) – è sicuramente un segnale positivo. Siamo però convinte che le quote rosa non risolvano il gender gap che colpisce le donne nella società italiana. Servono risposte concrete e immediate”. Un riferimento anche alle polemiche di questi giorni legate alla battaglia sulla parità di genere nell’Italicum: la riforma della nuova legge elettorale, infatti, è alla Camera per essere discussa e approvata, ma il malumore bipartisan delle deputate non si placa dinanzi al rifiuto dei colleghi di non far passare gli emendamenti (in assenza di un accordo di maggioranza) che, se accolti, garantirebbero alternanza uomo-donna nelle liste elettorali e il 50% di capilista in ‘rosa’.”

Analizzando la composizione del parlamento, talune dinamiche sono più che evidenti: la percentuale di donne passa dal 30% sul totale dei deputati e senatori ad appena il 16% per i ruoli più importanti quali capogruppo, presidente di commissione, ufficio di presidenza.

Un discorso simile vale per la squadra di governo: sul totale dei ministri, le donne sono il 50%, ma se si restringe il campo ai soli ministeri con portafoglio, allora la percentuale scende al 35% e cala ancora, fino ad arrivare al 27%, se si prende in considerazione l’esecutivo nella sua interezza, vale a dire viceministri e sottosegretari compresi. Due, al contempo, le key position da sottolineare: quella di Federica Mogherini agli Esteri (dopo Emma Bonino) e, per la prima volta, di Roberta Pinotti alla Difesa: con la sua nomina, peraltro, diventano 5 le ministre della Difesa nella Nato.

A livello regionale la dinamica è la medesima. Se in totale nelle giunte le donne sono il 29%, la percentuale scende al 18% quando si vanno ad analizzare gli assessorati più importanti. E cala al 10% quando si restringe il campo ai soli presidenti di Regione.

Una percentuale, quest’ultima, che introduce un ulteriore spunto di analisi: chi guida le istituzioni locali italiane? Stando ai dati, assai raramente le donne vengono chiamate in prima persona a guidare una Regione (10%), una Provincia (15%) o un Comune capoluogo (2%).

A livello europeo, al primo posto per presenza di donne nei governi c’è la Svezia (dove peraltro, col 54,1%, la parità non viene neanche rispettata perché le donne sono più degli uomini: 13 su 24 componenti totali). A seguire si piazzano Finlandia e Francia (entrambe col 47,3%) e poi, al quarto posto, c’è l’Italia (che si ferma al 47% se si considera un governo a 17, premier compreso). Slovacchia (6,67%), Lituania (6,67%) e Grecia (5,88%) chiudono la classifica Ue. Nei governi dell’Unione le key position sono 10: lo scettro va alla Danimarca che oltre ad avere un primo ministro donna, oggi ha pure un ministero dell’Economia a guida ‘rosa’.

 

(fonte: http://www.repubblica.it/speciali/politica/data-journalism/2014/03/04/news/donne_e_politica_tra_governo_parlamento_ed_enti_locali_i_ruoli_chiave_restano_ancora_in_mano_agli_uomini-80228680/)

 

(immagine dal web)

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