Analisi di una strage

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di Alice CARELLA

Sono passati alcuni giorni dall’attentato di Parigi ed io ancora mi sento confusa e frastornata. Mi sono limitata a condividere post su Facebook e fare copia e incolla di pensieri altrui ma non sono riuscita a scrivere un mio pensiero.

Forse perché non ne ho. O forse perché ne ho troppi. Non sono riuscita nemmeno a commentare quei post superficiali e xenofobi condivisi e scritti da alcuni miei contatti.

Questa mattina mi sono resa conto che era arrivato il momento di riordinare le mie idee e cercare di fare un’analisi personale ma il più possibile obiettiva dei fatti avvenuti. Sono una psicologa. Come tale non posso permettermi di dare un parere che non faccia riferimento a fatti precisi e condivisi. Mi devo attenere alla verità. Ma qual è la verità? Non ne esiste una sola.

I francesi hanno la loro ma anche i terroristi ne hanno una che, seppur difficile da capire, è meritevole di essere considerata.

Considerando la complessità della situazione, cercherò di fare un’analisi priva di giudizio. Tuttavia, non cadrò nell’ errore di schierarmi da una parte piuttosto che dall’altra ma cercherò di considerare quei meccanismi psicologici che sono alla base di questi eventi.

Primo. “I terroristi sono tutti matti”.

Questa è una frase che leggo molto spesso in questi giorni. Valutazione del tutto superficiale e priva di fondamento.Cosa significa in termini pratici essere matti? In psicologia il “matto” non esiste. Pensate che nel “dizionario internazionale di psicoterapia” non esistono neanche i termini “pazzo” e “folle”.

Questi sono due costrutti che rientrano all’interno di patologie serie come la psicosi, la schizofrenia e così via. Sicuramente i responsabili degli attacchi terroristici presentano una qualche patologia grave dovuta a un trauma.

Su questo non ci piove.Lo scorso anno ascoltai l’intervista fatta da una giornalista de “Le iene” a uno dei capi di un gruppo estremista islamico: egli raccontava di aver visto torturare un amico fino alla morte e che lui era riuscito a fuggire per miracolo. I responsabili? Noi. Per noi intendo i grandi paesi, quelli industrializzati, civilizzati. Ora, devo spiegare cosa può provocare un’esperienza del genere nella mente di un essere umano?

Provo a fare un esempio parallelo sperando di non andare fuori tema.

Se un bambino o un giovane subiscono una violenza o meglio una serie di violenze continue nel tempo, è molto probabile che in etá adulta questo stesso ragazzo userà lo stesso modus operandi con un’altra persona.

Obiettivo: far provare all altro ciò che ha provato lui. Non fa una piega. Ovviamente questo succederà se la persona non avrà quelle risorse necessarie per elaborare il trauma. È ovvio che nei paesi musulmani dove la prima regola è “cerca di salvarti la vita”, il lavoro sui traumi infantili è del tutto irrisorio.

Morale della favola: questi terroristi hanno subito nella loro vita traumi continui che non hanno elaborato e che sono diventati delle vere e proprie bombe. Consideriamo poi che questo tipo di esperienze sono vissute da molteplici persone con il risultato di una psicosi sociale: ognuno sostiene e alimenta il trauma dell’altro.

Secondo: “i musulmani sono cattivi e noi siamo i buoni“. Se i terroristi islamici soffrono di una evidente psicosi, i nostri cari Capi di Stato non sono da meno. Ipotizzo un disturbo narcisistico con presenza di un meccanismo di difesa caratterizzato da onnipotenza, scarsa autostima e bisogno di sentirsi superiore al resto del mondo.

Aggiungo, spiccata tendenza alla manipolazione che si evidenzia nella capacità di rigirare la verità a proprio favore. Proprio ieri ho condiviso lo stato di un ragazzo il quale diceva che l’aspetto nevrotico di tutta questa situazione è che il governo francese ha fatto passare l’attentato di venerdì come un atto terrostico e la reazione della Francia sulla Siria come una difesa quando, in realtà, questa azione militare francese, rappresenta proprio il contrario!

Tutto questo discorso non vuole essere una giustificazione ai loro atti ma sicuramente è una prima e semplice analisi del problema.

Davanti a persone che usano violenza perché  è l’unica modalità relazionale che conoscono, usare altra violenza è del tutto controproducente; non si fa altro che reiterare il trauma ed aggravare il problema.

Purtroppo la nostra società odierna utilizza molto poco l’analisi psicologica per comprendere fatti di questo genere e anche i Grandi della Psicologia si sono occupati molto poco di questi temi.

Usare la psicologia in questo settore può servire per comprendere alcuni meccanismi sottostanti a tali eventi e a comportarsi di conseguenza.

Non vuole dare alcuna giustificazione. Non si dà alcun giudizio.Ci si mette nei panni dell altro e si cerca di comprendere il suo punto di vista. D’altra parte che alternativa abbiamo?

Quale spiegazione vogliamo dare ai nostri bambini che sono il futuro?

Che quei brutti ceffi dalla pelle scura sono dei matti?

3 Pensieri su &Idquo;Analisi di una strage

  1. Io credo sia nato prima l’uovo della gallina, comunque sia c’è sempre uno che parte per primo, in questo caso credo sia stata la Francia.—-Se pensiamo che gli USA sono stati assolti dal genocidio delle atomiche perché il Giappone è andato a Per Arbu a bombardare per primo, la conseguenza dovrebbe essere l’assoluzione dell’Isis

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  2. è chiaro che chi governa non ha studiato psicologia ma studia da bombarolo. La riflessione che faccio in questi ultimi anni è che non vi è alcuna sana ed efficace riforma della scuola, ma solo pezze e piccole modifiche alle stesse cose. Una riforma radicale e seria dovrebbe introdurre materie che aiutano a relazionare le persone e a comprendere “le ragioni dell’altro”, a non equivocare e a capire. conoscere e rispettare, anche le altre culture: la scuola non può essere più nozionistica e, grazie ad internet, può permettersi di non esserlo. Dovrebbe invece essere il luogo in cui si impara la convivenza con gli altri e con se stessi. Bisognerebbe scrivere “nosci te ipsum” sulle scuole come sull’ingresso del tempio. Questo ovviamente richiede coraggio.

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  3. Tracciare e diffondere il profilo psicologico dei leader mondiali credo sarebbe utilissimo. Sono convinto che la maggior parte di essi soffre quantomeno di gravi nevrosi, quando non di vere e proprie psicosi.
    Prendiamo il presidente francese, Francois Hollande. Continua a dire che Assad se ne deve andare, che è delegittimato: questo è il suo fine prioritario, non il contrasto agli integralisti che in Siria combattono contro il regime. Tanto è vero che si è deciso a dare ordine di colpire l’ISIS solo dopo le stragi di Parigi, prima ha solo finto di farlo. E con questo comportamento, condiviso peraltro dagli altri leader occidentali che per oltre un anno hanno portato avanti la finzione della guerra al Califfato, ha oggettivamente favorito l’insorgere e lo stabilirsi dello Stato Islamico tra Iraq e Siria.
    Ora, come può essere dichiarato sano di mente chi è incapace di valutare correttamente i rapporti tra le azioni che intraprende (o NON intraprende) e le conseguenze che ne derivano?
    Peggio ancora: come può essere sano di mente chi, essendo consapevole delle conseguenze delle proprie azioni, pone un fine le cui motivazioni sono incomprensibili ai più: la caduta di Assad, su un piano di maggiore importanza sia delle distruzioni e delle vittime causate in Siria dall’estremismo islamico sia di quelle che (ed era facilmente prevedibile) sarebbero toccate alla Francia?
    Fin dall’inizio Hollande ha tollerato e indirettamente (e forse anche direttamente) appoggiato ogni organizzazione estremista purché combattesse contro il regime siriano.
    Quale bilancia è presente nella mente di uno come Hollande che vede il piatto con la caduta di Assad sempre più pesante di ogni altra cosa sia sull’altro? Duecentocinquanta-trecentomila morti causati dal conflitto, distruzione di un intero stato e del futuro della sua popolazione, 12 morti l’attacco a Charlie Hebdo, 130 i morti dell’ultimo attacco, altri possibili attacchi e altre vittime in futuro, sull’altro piatto che non riescono ad essere altrettanto “pesanti”.
    Indubbiamente la psiche di Hollande, ma anche degli altri leader europei che hanno partecipato all’impresa siriana, merita una indagine.

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