Mi chiamo Maria

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di Ivana FABRIS

Mi chiamo Maria.
Mi chiamo Maria e sono legata qui, a questa sbarra. Le braccia allargate come fossi stata crocifissa.

Sono in ginocchio, nella polvere ormai bagnata dalle mie lacrime, dalla mia saliva, dalla mia urina, dal mio sangue.
Riesco ancora a sentirlo scendere copioso dalle mie natiche fin giù, giù lungo le cosce, verso le mie ginocchia.

Lo sento sgorgare a fiotti. E’ caldo ma quando arriva a lambirmi le ginocchia è ormai freddo. Come il mio corpo, qui, nudo, esposto all’aria di questa notte di maggio in cui, ormai lo so, morirò.

La mia mente sta scivolando via, quasi non sento più il dolore. Quanto è stato atroce sentire attraversare il mio corpo da quella rigida asta di legno che mi ha trafitto le viscere, la mente, la vita.
Eppure era una notte così bella da trascorrere con i miei bambini. Che non rivedrò.
Chissà quante altre notti avrei potuto avere, chissà quanta altra vita avrei potuto vivere e non sarà più.

Sono stata violentata e sodomizzata nel più offensivo e brutale dei modi. Il mio corpo si sta allagando di sangue. Sto morendo.

Muoio qui, da sola.
Muoio e la mia unica colpa è stata aver avuto un corpo da violare. Un corpo in cui riversare rabbia e odio, in cui qualcuno ha svuotato i suoi testicoli per riempirlo della più antica ed efferata voglia di distruggere.

Muoio perchè non ero una persona ma solo carne e sangue da usare.

Muoio perchè ero solo una donna, muoio perchè non ero nulla.
E muoio per mano di un uomo.

 

Una giovane donna è morta pochi giorni fa, uccisa in modo brutale.

Un delitto agghiacciante per l’odio che esprime, compiuto in totale spregio della vita, certo, ma soprattutto della vita di una donna.
La barbarie con cui si è consumato mi ha sconvolto.
Non riesco a non pensare a tutto quello che potrà aver attraversato, in quei momenti, la mente di quella povera creatura, spezzata non da un mostro ma da un uomo qualunque, uno di quelli che incontriamo nelle nostre quotidianità, uno qualunque che sfiora le nostre inconsapevoli vite, uno qualunque di cui potremmo fidarci senza alcuna remora.
Sono ovunque, si nascondono in quiete esistenze al punto che la loro è persino una presenza rassicurante, talvolta.

E invece ci odiano. Visceralmente, nel profondo delle loro menti deviate da vissuti incomprensibili per noi, certamente, ma anche alimentati da una sottocultura che fa, del corpo delle donne, solo merce.
Nel tempo delle cene eleganti, la concezione del corpo femminile, in un certo immaginario sociale, è stata definitivamente omologata al mercato della carne. Continua a leggere