I pescecani

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di Dunia SARDI

Come ogni giorno, quando aveva il turno di mattina, Giulia era arrivata al cancello della fabbrica trafelata e con i capelli scarruffati; aspettava sempre l’ultimo minuto ad alzarsi tanta era la fatica che le costava. Da quando sua madre cominciava a chiamarla, verso le cinque e mezzo, a quando metteva le gambe fuori dal letto di solito passava un quarto d’ora e a volte sua madre doveva aiutarla a vestirsi quando era ancora mezza addormentata; il lunedì specialmente era difficile farle aprire gli occhi che sembravano incollati dal sonno; era andata a letto a mezzanotte la sera prima, d’altra parte Giulia aveva quindici anni e la domenica sera voleva andare a ballare. Scendeva le scale come una sonnambula e giù, in cucina, beveva in fretta una tazza di caffè e latte poi si metteva nel marsupio di tela le due fette di pane con la mortadella o con la marmellata che le aveva preparato sua madre e usciva con la sua bicicletta Bianchi; mentre pedalava più forte che poteva il vento fresco del mattino le sferzava il viso e le sgombrava la mente; ora era sveglia del tutto e pensava che a quel punto il più era fatto.

Già, per lei era meno faticoso lottare con i filati e le rocche di lana da rappezzare correndo su e giù per otto ore avanti e indietro alla macchina piuttosto che lottare con il sonno che la inchiodava a letto e staccarsi dai sogni senza aver visto come andavano a finire. Così arrivava in fabbrica ansante per aver pedalato a tutta birra e timbrava la cartolina sempre pochi minuti prima delle sei.
Correva a infilarsi la vestaglia blu, raccoglieva i capelli lunghi e ribelli in una treccia e entrava nel suo reparto come una folata di vento. Prima che i piccoli gruppi delle compagne cominciassero a sciogliersi, si fermava con loro per ascoltare, curiosa, le novità della domenica sera; di solito le ragazze, approfittando dei pochi minuti che restavano prima del secondo suono della sirena, si raggruppavano per raccontarsi storie di fidanzati o di giovanotti che le facevano confondere.

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Impossibile conciliare lavoro e maternità. Sempre più donne in fuga dalla carriera

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” […] È come una controrivoluzione silenziosa, un movimento di donne in carriera che si arrendono, a metà corsa, schiantate da quello che Slaughter chiama “tempo macho” […]”

La Redazione di ESSERE SINISTRA


 

[Articolo da “la Repubblica” del 24 ottobre 2012]

Anne Marie Slaughter si è cullata nella promessa di un certo femminismo, soprattutto americano, secondo il quale bisognava avere tutto: realizzare ambizioni famigliari e professionali. Poi un giorno, passati i cinquant’anni, ha deciso che non era più possibile. Il pentimento è arrivato dopo aver faticosamente raggiunto i suoi sogni. Madre di due figli, lavorava al Dipartimento di Stato, prima donna nominata Director of Policy Planning, tra le collaboratrici più in vista di Hillary Clinton. Orari massacranti, riunioni e trasferte continue, e il tormento di non essere mai davvero in pari con la vita. Qualcosa che manca sempre, in ufficio ma anche a casa. “Ho detto basta e non me ne pento” racconta ora Slaughter che oltre a essersi dimessa con fragore dal suo incarico governativo ha deciso di fare un suo personale outing dalle colonne dell’Atlantic Monthly.

Non è la sola. “Faccio politica per migliorare la vita degli altri, non per peggiorare la mia” ha detto Axelle Lemaire, trentenne deputata socialista che ha rifiutato di diventare ministro nel governo francese perché troppo indaffarata con i pargoli. Continua a leggere

Le lavoratrici autonome sono professioniste e malate di serie B, anche per la Ricerca

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Tutto questo accade quando anche la malattia diventa ulteriore elemento discriminante che penalizza le lavoratrici autonome e le fa diventare invisibili.

La Redazione di ESSERE SINISTRA


 

[dal blog AFRODITE K di Daniela Fregosi, una lavoratrice autonoma con partita IVA ammalata di cancro al seno che da anni porta avanti una battaglia per il riconoscimento dell’assistenza sanitaria e dei diritti a un minimo di ammortizzatori sociali.]

Proseguono ricerche e indagini sui pazienti oncologici, sul rapporto cancro e lavoro e sulle donne che si ammalano e devono conciliare vita, salute ed attività professionale. Dopo la ricerca effettuata da Europa Donna sulle lavoratrici operate di tumore al seno che la stessa Afrodite K ha diffuso, arrivano i risultati di quella realizzata da International Lab for Women’s Health in the Workplace (Whw International Lab) e presentata alla Luiss di Roma. Bello, importante, certo che sì! Peccato che in tutto questo le lavoratrici autonome non esistono, pare che non si ammalino neppure e nessuno si preoccupa di far partire indagini per rilevare le loro difficoltà. Contiamo su Europa Donna che ha promesso di lanciare una ricerca ad hoc sulle lavoratrici autonome…..

E proprio dalla cooperazione tra area Pa, sanità & non profit della Luiss Business School, associazione Susan Komen per la lotta ai tumori al seno, Dipartimento per la tutela della salute della donna dell’università Cattolica e Valore D, prima associazione italiana di imprese che promuove la diversità, il talento e la leadership femminile per la crescita delle aziende e del Paese, è nato Whw International Lab.
Il laboratorio si propone di sviluppare programmi di ricerca e formazione, percorsi di sensibilizzazione e divulgazione finalizzati a rafforzare l’azione di contrasto alle disparità di genere nel diritto alla salute. Altro obiettivo è favorire la piena partecipazione delle donne alla vita sociale ed economica del Paese e a formulare proposte concrete per un cambiamento culturale che riduca disuguaglianze e ritardi nell’accesso alle cure e agevoli la piena realizzazione personale e professionale delle donne”.

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Donne e politica: in mano agli uomini l’80% degli incarichi istituzionali. E sono i più importanti

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Non è una leggenda urbana, i dati sono davvero sconfortanti.
Basta leggere e controllare i grafici statistici per capire che ancora oggi sulle poltrone al vertice sono seduti ancora gli uomini, a prescindere dalle loro capacità, molto spesso inferiori a quelle di una donna.

la Redazione di ESSERE SINISTRA


 

[Articolo da “la Repubblica” del 7 marzo 2014]

Dal Quirinale alle Province, passando per ministeri, parlamento, Regioni, giunte e consigli comunali, il 79,27% degli incarichi istituzionali in Italia oggi è ancora in mano agli uomini. L’analisi della rappresentanza di genere, infatti, parla chiaro: le donne costituiscono il 19,73% sul totale dei ruoli politici elettivi o di nomina. L’incidenza percentuale minore in assoluto è riscontrabile nei consigli regionali, dove è ‘rosa’ il 13,71% delle seggiole: su un totale di 1.065 rappresentanti che siedono nei ‘parlamentini’ di tutta Italia, ben 919 sono uomini e soltanto 146 donne. Emblematico il risultato delle recenti elezioni in Sardegna: nel nuovo consiglio regionale gli eletti sono 60, ma le donne si fermano a quattro. Peggio riesce a fare soltanto la Calabria che ne conta 2 su 51.

Esame a parte meritano i Comuni: su 106 sindaci di capoluogo di provincia, le donne non vanno oltre quota tre (il 2,83 per cento): in Italia oggi sono donne i primi cittadini di Ancona, Fermo e Alessandria. Continua a leggere

Meno mamme per colpa della precarietà

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Quando un momento felice da vivere con serenità per una donna si può trasformare in un problema, molte scelgono di non scegliere e il desiderio di maternità viene accantonato o respinto in un angolo in fondo al cuore.
Le voci delle donne che rinunciano alla maternità per salvaguardare il lavoro e quelle delle donne che invece hanno scelto di avere figli, raccontano le loro storie.

La Redazione di ESSERE SINISTRA


 

Spesso il ritardo della maternità viene attribuito a un desiderio della donna di fare carriera a discapito della famiglia. Uno studio australiano pubblicato sulla rivista Human Reproduction rivela che il fenomeno è molto più complesso e che la tendenza, rispetto al passato, è cambiata radicalmente. I risultati della ricerca dimostrano, infatti, che nella maggior parte dei casi se una donna ha un figlio dopo i 35 anni è dovuto alla precarietà della suo posto di lavoro. L’analisi, svolta su un campione di oltre 600 donne nate tra il 1973 e il 1975, prende in considerazione tutte le classi sociali. Non stiamo quindi parlando delle coppie ‘childfree’, quelle che rifiutano per scelta di avere figli, ma di coppie che vorrebbero dei figli ma valutano di non poterselo permettere.

Qui in Italia non sembra che le cose vadano tanto diversamente: la crisi ha fatto crollare le nascite fino al 10% l’anno. Con picchi nel sud, dove un tempo le gravidanze superavano la media nazionale. Così la famiglia italiana diventa sempre più vecchia e sempre più povera. Abbiamo già affrontato l’argomento la settimana scorsa, ospitando la testimonianza di Francesco Raiola. Oggi vi raccontiamo le storie di quattro donne e le loro scelte. Continua a leggere

Donne, mamme e lavoro

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Solo in Italia, essere donne e madri diventa un requisito per essere discriminate sul luogo di lavoro.
Il mobbing a 360° colpisce le donne e le rende deboli fino a costringerle alla rinuncia.
Non è cambiato nulla nonostante gli anni di lotta.

La Redazione di ESSERE SINISTRA


La discriminazione delle donne nel mondo del lavoro possiede tante forme, quella su cui vorrei soffermarmi in questo particolare frangente è quella della donna in quando madre (o comunque portatrice di utero). Entriamo nel mondo del lavoro più o meno dopo gli studi, quando spesso l’idea di fare una famiglia, se c’è, è ancora molto lontana, eppure, se sei una donna in età fertile, già dai primi colloqui facilmente incontrerai sguardi che accidentalmente cadranno sull’anulare sinistro e a domande più o meno velate sulla condizione sentimentale e l’idea di avere o meno dei figli.

Arriva poi il momento in cui diventi mamma e qualunque sia la tua situazione lavorativa in quel momento (tranne la donna che vuole e può permettersi di non lavorare) ci si ritrova a fare i conti con una realtà lavorativa sempre più sconfortante e man mano che ti confronti con altre mamme, cosa facile se si frequentano ad esempio corsi di acquaticità per neonati, massaggio sul bambino eccetera, ti rendi conto che la maggior parte ha problemi analoghi ai tuoi: nella migliore delle ipotesi si ha la mamma assunta a tempo indeterminato che si trova ad una battuta di arresto: di colpo i suoi meriti, i suoi studi ed i suoi percorsi lavorativi subiranno un arresto più o meno duraturo, specialmente se decide di usufruire di diritti come il congedo parentale, malattie del bambino e se decide che è giunto il momento di non fare troppi straordinari. Oltre al rallentamento nella carriera vi sono spesso episodi di mobbing più o meno velato e vari tentativi di mettere in difficoltà la gestione familiare. Poi ci sono le mamme libere professioniste: se da un lato possono avere un po’ più di elasticità lavorano spesso molte più ore e in orari non “da asilo” per cui si trovano a dover gestire professione e maternità con la stessa destrezza di un giocoliere alle prese con birilli infuocati. Vi sono poi innumerevoli donne che hanno perso il lavoro grazie a contratti non rinnovati, alla crisi che ha fatto chiudere le aziende dove lavoravano e che non riescono a trovare un nuovo lavoro perché quando dicono di avere un figlio piccolo vengono innalzati muri. Continua a leggere

Donne e lavoro? Siamo rimasti ai tempi di Battisti

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“La sensazione è che, a livello di mentalità, per molti aspetti, sul tema del lavoro femminile, si sia rimasti al 1977. Quando cioè il cantautore pubblicava l’album “Io, tu, noi tutti”, nel cui lato B c’era “Neanche un minuto di non amore”.”
L’articolo da Il Fatto Quotidiano del 19 ottobre 2012 di Carlotta Scozzari che tra il serio e il faceto (molto amaro come faceto) descrive il quadro con una precisione ineccepibile.

La Redazione di ESSERE SINISTRA


 

Una donna senza lavoro è una donna senza libertà”. C’era scritto così su uno dei cartelli di protesta con cui domenica alcune sindacaliste hanno attaccato la ministra del Lavoro, Elsa Fornero. Una verità tanto palese quanto banale, visto che chiunque percepisca uno stipendio “dignitoso” dovrebbe essere in grado di mantenersi e vivere come crede la propria indipendenza, da solo o all’interno di una famiglia. Senza contare, poi, che è ovvio che se a lavorare non è soltanto il marito ci sono più soldi per tutti.

Insomma, “two job is mej che one”, tanto per parafrasare un vecchio spot dove l’attore Stefano Accorsi parlava di un gelato in un inglese maccheronico. Eppure, per le donne italiane la situazione resta critica: il tasso di disoccupazione in rosa continua a essere altissimo, al 9,6 per cento nel 2011 contro quello maschile del 7,6 per cento. E la situazione appare grave soprattutto al Sud, dove, secondo un recente dossier di Svimez, l’Associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno, lavora a malapena una giovane su quattro. Continua a leggere

Maternità e lavoro femminile. Stereotipi e nuovi paradigmi

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I numeri emersi dal convegno su Maternità e lavoro femminile, pubblicati dal Dipartimento per le Pari Opportunità, sono a dir poco impressionanti.
Dimostrano quanta arretratezza ci sia relativamente alle tutele e dimostrano che in questo Paese maternità e lavoro sono praticamente incompatibili. E lo sono in una nazione che diventa sempre più vecchia di anno in anno con quello che ciò rappresenta e significa per il suo sviluppo.

La Redazione di ESSERE SINISTRA


“Maternità e lavoro femminile. Stereotipi e nuovi paradigmi”: questo il titolo del convegno, organizzato dal Dipartimento per le Politiche della Famiglia e dal Dipartimento per le Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio dei Ministri unitamente alla SNA – Scuola Nazionale dell’Amministrazione, che si è tenuto questa mattina (26 novembre 2014, ndr) presso la Sala Polifunzionale della Presidenza del Consiglio dei Ministri.

La maternità è un elemento di crisi o una risorsa per il mondo del lavoro? Questa la domanda su cui si vuole riflettere durante il convegno. L’occupazione femminile nel nostro Paese sembra aver trovato fino ad ora nell’esperienza della maternità un momento di profonda crisi e un ostacolo difficile da superare. Basti pensare che per il tasso di occupazione femminile l’Italia si pone nelle ultime posizioni tra i paesi europei, sotto di noi solamente Malta. Alcuni dati sulla situazione italiana:

  • il 30% delle donne interrompe il lavoro per motivi familiari contro il 3% degli uomini (ISTAT);
  • solo quattro madri su dieci riprendono l’attività un volta stabilizzata la situazione familiare (ISTAT);
  • l’Italia, con il 37%, ha la più alta percentuale di famiglie monoreddito d’Europa (EUROSTAT);
  • il tasso di occupazione femminile diminuisce al crescere del numero dei figli in Italia più che nel resto d’Europa (dal 60% con 1 figlio al 33% con 3 figli; EUROSTAT);
  • nel rapporto sulla parità di genere del World Economic Forum 2014, l’Italia è 114° su 142 Paesi per la partecipazione socioeconomica delle donne.

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Questione femminile, questione Italia

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Dagli anni delle conquiste, all’oggi.
L’asimmetria di genere è ancora fortemente radicata nonostante l’istituzione di organismi volti al superamento del divario di trattamento fra uomini e donne nell’ambito del lavoro. Le politiche di sostegno che affrontano di petto ‘la questione femminile’ sono purtroppo inesorabilmente ferme al palo. Questo articolo, della fine di gennaio del 2012, ci consegna uno spaccato della situazione di quei giorni, ma a oggi, le politiche economiche adottate dal Governo attuale e la crisi economica hanno peggiorato ulteriormente la situazione.

La Redazione di ESSERE SINISTRA


 

[Articolo apparso su YouTrend qui]

Il 26 gennaio scorso (2012, ndr) l’associazione “Pari o Dispare” ha riunito a Palazzo Giustiniani rappresentanti di istituzioni, enti, partiti, associazioni, università e media per discutere del mondo del lavoro e delle politiche di genere nella seconda edizione del convegno “Questione Femminile, questione Italia”.

A presiedere i lavori Emma Bonino, coadiuvata dalla Presidente di Pari o Dispare, Cristina Molinari, mentre ad intervenire vi sono stati relatori d’eccezione quali il Ministro Elsa Fornero, l’amministratore delegato di Italia Lavoro, Paolo Reboani, e le senatrici Rita Ghedini (PD), Maria Ida Germontani (PdL) e Anna Bonfrisco (PdL). È in questa sede che si sono affrontate tematiche inerenti alla domanda di lavoro insufficiente e penalizzante per le donne, la scarsezza qualitativa e quantitativa di servizi sul territorio, il contesto culturale che non valorizza l’affermazione professionale femminile in un periodo in cui le donne italiane, rivestendo ruoli di potere, sembrano poter modificare la situazione che vede il Paese nelle ultime posizioni europee in tema di pari opportunità.

È innegabile il contributo eccezionale che le donne hanno apportato al mondo del lavoro negli ultimi trent’anni; già nel 2007, il giornale Economist ha valutato il contributo del lavoro femminile alla crescita globale come maggiore rispetto a quello apportato dalla Cina. L’occupazione femminile è infatti da considerare non solo come condizione indispensabile per la loro autonomia ma come un’occasione per lo sviluppo dell’intera società. Lo confermano le stime della Banca d’Italia, le quali ci comunicano che se si raggiungesse il tasso di occupazione femminile del 60% previsto dal Trattato di Lisbona, il PIL aumenterebbe del 7%. Nonostante questo inequivocabile dato, metà della popolazione continua a soffrire di discriminazione a tutti i livelli, tanto che il rapporto 2012 della World Bank Gender Equality and Development parla di “fallimento del mercato”. Sebbene in analoghi casi di failure ci si sia preoccupati di creare autorità indipendenti con il compito di regolare il mercato e il funzionamento dello stesso, ad oggi ancora non si è ritenuto necessario supervisionare le distorsioni discriminatorie subite dall’offerta di lavoro femminile. Continua a leggere

L’operaia e la FIOM: Daniela, e il significato di questi ricordi

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di Claudia BALDINI

Quest’ultima testimonianza la voglio dedicare alla mia amica Daniela. Operaia, 40 anni di servizio in FIAT. Una figlia che ha tirato avanti con successo e onore. Splendida amica mia che hai passato una vita a fare turni massacranti e ad impegnarti nella FIOM per tutti.
Battagliera, politica, ragionatrice. Ma non bisogna farla arrabbiare.

Sempre in prima fila per i diritti, per la pace, per la scuola, per ogni cosa dove bisognava lottare. Era molto meglio la RSU FIAT a Modena quando c’era ancora lei. Era tutto meglio il sindacato quando c’erano questi compagni nelle fabbriche.
Brava Dani, ora sei andata in pensione. Come me. Continua a livello volontario a lavorare per la CGIL. E io la consulto spesso come lei, è un Landini al femminile.
E’ un onore per me avere un’amica così che mi è rimasta sempre vicina, a cui ricorro sempre. Ed anche ora mi sta vicina. Non ha fatto carriera nel sindacato, non ha fatto carriera da capetto in Fiat. Ha fatto la RSU, la più bella carriera ed esperienza al servizio dei lavoratori. Grazie Dani.

E in questi ricordi personali che ho riportato di donne ed amiche, devo dire una cosa importante: queste donne, a mio avviso, hanno fatto carriere, sono diventate qualcuno, ma sono rimaste donne, non sono diventate ‘stronze come un uomo’ per dirla alla Vecchioni e credo che nemmeno io che una certa carriera l’ho fatta sia diventata così.

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