Jobs Act: se ci tocca addirittura rimpiangere Craxi

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di Nello BALZANO

A Cernobbio gli imprenditori sono tutti per Renzi. Ma non vi chiedete perché?

Che poi, lo so che ci sarà senz’altro tra chi leggerà questo articolo, che penserà che sono prevenuto, che
ce l’ho con Renzi, con Poletti.
Perché abbiamo portato via il pallone (o è stato Renzi a rubarlo?), durante la partita che stavamo perdendo (aspetto ancora di capire quale partita stavamo giocando, visto che se la suonano e se la cantano tra di loro).

Anche se si cerca sempre di argomentare con riferimenti certi, senza andare a pescare notizie od informazioni qua e là, mettendoci molto di ciò che è stato, di concreto, di memoria dei fatti, attingendo al massimo qualche dato in rete solo per essere più precisi.

Faccio questa premessa per spiegare il titolo che può apparire forte e contraddittorio, ma se continuerete nella lettura comprenderete che un fondamento esiste.

Per fare questo dobbiamo andare indietro negli anni, precisamente al 1984, quando il Governo in carica, formato nel 1983, era il primo presieduto da Bettino Craxi: la coalizione, che lo sosteneva era nota come “Pentapartito” (Democrazia Cristiana, Partito Socialista, Partito Repubblicano, Partito Socialdemocratico, Partito Liberale), all’opposizione il Partito Comunista e il Movimento Sociale.

Fu il Governo che all’epoca stabilì il record di durata dal dopoguerra, quasi 1100 giorni: quel periodo non era semplice, vi era una crisi economica (anche allora) condizionata da molti aspetti nazionali ed internazionali.
Ma le congiunture economiche sembravano tornare positive, insomma bisognava far ripartire l’economia e per farlo occorreva dare ossigeno al mondo delle imprese.

Il ministero del Lavoro era retto da Gianni De Michelis: si pensò di agevolare economicamente le assunzioni, si posero dei paletti nell’età, massimo 29 anni e per la prima volta nella storia repubblicana si inserirono contratti a tempo determinato anche nelle grandi industrie. La loro durata non poteva superare 2 anni, ma vi erano vincoli per l’imprenditore stringenti, ovvero che se non sussistevano problemi economici o di inadeguatezza del lavoratore, il contratto doveva essere rinnovato a tempo indeterminato, non si poteva in nessun modo ricorrere al turnover di queste persone con altre assunte nello stesso modo.

I vantaggi per le imprese erano comunque notevoli, per tutta la durata non dovevano versare i contributi previdenziali che gravavano sullo Stato, vi era poi un altro aspetto non ovviamente descritto in chiaro, ovvero giovare di una forza lavoro giovane, che pur se tutelata dai diritti previsti dallo Statuto dei Lavoratori (Legge 300/70), non partecipava a pieno alle agitazioni sindacali, perché era presente la clausola del contratto a termine, che frenava ogni volontà di lottare. C’era però un altro aspetto al quale il datore di lavoro non poteva sottrarsi, la formazione obbligatoria per il 25% delle ore prestate dal lavoratore che doveva essere ben documentata: il nome che fu dato a questo tipo di contratto era infatti: Contratto Formazione Lavoro (CFL).

Questa tipologia di assunzione durò oltre la metà degli anni ’90. Nonostante i limiti temporali, la minore partecipazione sindacale, vi era però un aspetto importante che non sottovaluterei: come dicevo lo Stato concorreva per la quota previdenziale. Quando si dice Stato sappiamo che si parla della collettività, quindi ogni cittadino che pagava le tasse contribuiva a vantaggio di questi lavoratori. Questo è un dato importante, perché è la prima grande differenza che c’è rispetto al JOBS ACT, dove la fiscalità generale, invece, contribuisce a vantaggio degli imprenditori che si agevolano del contributo di 24.000 euro in 3 anni per ogni assunto. In breve, questi lavoratori non ricevono niente dallo Stato, un sottile modo che dimostra quanto questa legge sia dedicata solo agli imprenditori, quindi non è un caso se il Sindacato è stato tenuto fuori.

Vi è un’altra condizione che evidenzia il perché nonostante qualche limite era meglio il CFL, perché lo so qualcuno potrebbe controbattere, che oggi chi viene assunto è “a tempo indeterminato” (si tratta solo, invece, di un contratto a monetizzazione crescente), mentre in precedenza si parlava di contratto a termine.

Ma qual è lo scotto che si deve pagare?

Perdere le tutela dell’Art.18 della Legge 300, quello che disciplina i possibili licenziamenti per causa ingiusta.

Non è un caso che lo stesso Presidente del Consiglio si vanta di aver eliminato ciò che a detta delle imprese e delle forze politiche di destra, rappresentava un tabù, nessuno si era mai spinto a questo punto, ma dovrebbe essere per ognuno di noi chiaro che tutto questo non può essere definito un atto eroico, ma piuttosto di vigliaccheria, perché si va a toccare chi è più debole, chi pur di lavorare deve rinunciare al rispetto della sua dignità.

Già perché non finisce qui: si è introdotto il principio del “demansionamento”, con la scusa della riduzione dei costi del lavoro, sempre a carico dei lavoratori, nonostante gli 8000 euro annui all’imprenditore ed è notizia di questi giorni nell’approvazione dei Decreti allegati, che si è sancito che i lavoratori, possono essere controllati a distanza anche fuori dal luogo di impiego e fa sorridere “la sinistra del PD” che cerca di giustificare la sua inutilità cercando di inserire una virgola qua e là, per non intaccare “più di tanto” la libertà delle persone.

Mi fermo qui solo per dire che sì i CFL erano a termine, ma per la quasi totalità sono stati trasformati a tempo indeterminato con tutti i diritti normativi ed economici degli altri lavoratori. Furono interrotti nel 1999 a seguito di una sentenza della Commissione Europea, che giudicava il contributo dello Stato lesivo della concorrenza nei confronti degli altri Stati membri. Ma diciamolo piano: sia mai che la Grecia, la Spagna o qualche altro, vada a ripescare quella sentenza per ricorrere contro il JOBS ACT del tanto applaudito Presidente del Consiglio. Lo ricordo ancora: gli applausi li hanno fatti gli imprenditori.

5 Pensieri su &Idquo;Jobs Act: se ci tocca addirittura rimpiangere Craxi

  1. La RAI , cosiddetta ” SERVIZIO PUBBLICO ” quasi sempre è stata ” megafono del governo in carica ” ad ECCEZZIONE dei periodi in cui, la maggioranza degli Italiani – non italIDIOTI -, ha fatto VINCERE il CENTROSINISTRA. Pensavamo che, la ” rai cosiddetta/PUBBLICA, avesse toccato il FONDO durante il periodo in cui il re del BUNGA BUNGA – eletto da una maggioranza di italIDIOTI – . SBAGLIAVAMO DI GROSSO : l’attuale capo del ” buono/SGOVERNO, retto col sostegno , ufficiale , di un… pezzo del centrodestra, e con l’appoggio , dell’altro pezzo di centrodestra , al momento dei NUMEROSISSIMI ” voti di fiducia “, è riuscito a fare CONTRORIFORME , tra l’altro rilanciando la controriforma/berlusconiana chiamata e firmata ., da un EX colonnello di Fini, quando c’era lo Sgoverno del cosiddetto ” partito delle libertà ” di proprietà della famiglia berlusconi. Oggi la rai cosiddetta di servizio/PUBBLICO, è ” sprofondata ” al di sotto delle LATRINE dell’EX regno d’arcore. TIRA TIRA TIRA LA CORDA ANCORA E’ DI PIU’ , FIN QUANDO SI SPEZZA, TRASCINANDOTI DOVE MERITI DI FINIRE !!!

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  2. A spellarsi le mani, c’era un – equivoco figuro – di nome, davide serra, meglio conosciuto come il detentore, delle cassaforte, dei – paradisi fiscali , dove sono nascosti, i milioni di euro, degli evasori italiani, e di altre nazioni. Questo fior fiore, di gente, diversamente rispettabili, applaudivano ,il( feticcio ) che rispettava, gli ordini ricevuti . È ovvio che se si rappresenta questi caimani, non può rappresentare i cittadini onesti !!!

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  3. C’è da rimpiangere ma ad essere rimpiante non sono certo le politiche craxiane. Ho provato a scaricare le serie storiche del pil e della disoccupazione dagli anni 80 ad oggi (ed anche del deficit) la “crisi” degli anni 80 è consistita in un anno di recessione (-1% di pil).. averne!! Sapete quanto pil abbiamo perso dal 2007 ad oggi? Circa 10%!! Ma che paragoni sono anni 80 vs anni 2010? È un paragone senza alcun senso, negli anni 80 non c’erano imprese che ogni giorno si trasferivano in Cina o nell’est, la Fiat sfornava circa 1 mln di auto all’anno e l’Italia era la quinta potenza mondiale. Nonostante ciò le politiche craxiane (vedi serie storiche) hanno creato un debito pubblico che nell’82 era normale (circa 80%) a fine anni 80 viaggiava verso il 120%. I lavoratori di oggi ringraziano (soprattutto quelli che pagano l’aliquota del 38% non hanno bonus renzi e si pagano il nido per I figli perché sono ricchi da 2000 euro al mese di stipendio) per il fardello lasciato in eredità senza avere in cambio un minimo di infrastruttura, sia essa fisica o di conoscenza o organizzativa. Abbiamo solo uno stato che fa acqua in quanto spossato da decenni di ruberie. Comunque al di là di questo l’articolo contiene una grossissima imprecisione in quanto il contratto di apprendistato è vivo e vegeto, la mia azienda lo applica a tutti I ragazzi in entrata da sempre (dal 2006 almeno) ed io sono tra I tutor che deve verificare l’effettiva erogazione delle 120 ore annue di formazione previste. Ignoro la sentenza europea ma basta andare sul sito dell’inps per verificare. Pare evidente che per recuperare quel milione di posti di lavoro persi durante questi 8 anni un istituto esistente forse non era sufficiente (tra l’altro anche oggi ha un limite di età molto stringente) per questo è stato necessario, oltre a togliere tutti I contributi, anche eliminare la componente lavoro dall’irap (tassa che non c’era negli anni 80 e che risulta abbastanza stupida nel suo funzionamento). A differenza di quanto accadde negli anni 80, non sembra che questa misura stia creando deficit, probabilmente chi ottiene un posto a tempo indeterminato consuma di più e paga più tasse. Dal punto di vista dell’equita “padrone” vs lavoratore dal 2014 molti fortunelli hanno gli 80 euro mensili di renzi, per cui tra regalo al “padrone” e regalo al lavoratore, il famoso cuneo fiscale che tutti I sindacalisti citano è stato di molto compresso, almeno per tre anni e tutti sembrano contenti.
    Non c’è più l’art.18? Chi se ne frega. Chi parla è un dipendente, da poco dirigente (quindi senza art.18) ma che ha sempre lottato, da socialista europeo, per la flexicurity e quindi per la conservazione della capacità di trovare un posto, non del posto in sé stesso. Ho sempre visto nell’art.18 qualcosa che proteggeva i nullafacenti, soprattutto nei mestieri intellettuali dove è praticamente impossibile spiegare ad un giudice (come a qualsiasi persone che non abbia mai fatto quel tipo di lavoro) che la persona da licenziare non si impegna abbastanza e si imbosca. E tra l’altro non esiste, nella formulazione sessantottina così estesa, in nessun paese europeo. Tanto è che probabilmente la sua abolizione fa più effetto sugli stranieri che non capivano l’assurdita di un giudice che, senza sapere niente, gli imponeva la riassunzione di un lavoratore. Pertanto viva le nuove politiche occupazionali! Giudichiamole per favore verificando davvero I dati ed I risultati senza inventare paragoni che non esistono…

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    • Mi meraviglio che la sua azienda l’abbia promossa dirigente, perché in genere queste figure sanno cosa leggono e sanno quando è come rispondere.
      Mi chiedo dove abbia visto una santificazione del periodo craxiano, mi chiedo dove lei abbia visto che si siano date colpe all’attuale governo.
      in questo modesto parallelo c’era solo la differenza, che per noi che siamo di sinistra è fondamentale, ovvero il rispetto della dignità delle persone, a prescindere dalle disastrose ricette economiche, le consiglio la prossima volta quando vede qualcosa pubblicato con il mio nome, di evitare la continuazione della lettura, perché rimarrà deluso un’altra volta, perché io differenze tra persone e lavoratori,come ha fatto lei nel punto dove parla di lavoratori immigrati che non comprendono l’utilità dei giudici, non ne farò mai, quindi auguri per la sua luminosa carriera.

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