La povertà ha gli occhi di vetro

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di Immacolata LEONE

Giulia è una bella donna, ha forse due o tre anni più di me: la conosco dai tempi del liceo, all’epoca io ero una “squiccia” timidona e lei era la più bella dell’istituto.
Ci accomodiamo nel salottino, Martina è a scuola.
Mi guarda e sorride, di un sorriso triste, ormai rassegnato, all’improvviso mi sembra una vecchia, senza più speranze, senza più nessuna voglia di andare avanti.
Sono tre anni che continua questo stillicidio. Dapprima lei, che lavorava in uno studio privato è stata licenziata e poi è successo al marito, promettente ingegnere, senza più rinnovo di lavoro.

All’inizio, mi racconta, sei smarrito ti senti mancare la terra sotto i piedi, alla prima cosa che pensi è il mutuo, poi alle bollette alla spesa e, cosa ne sarà di tua figlia.
Poi arriva il senso di vergogna, il segreto da mantenere e fare finta di niente in attesa di tempi migliori che dovranno pur arrivare.

Passano i mesi, si va avanti con i risparmi, riducendo il superfluo.
Passano altri mesi cambia il modo di fare spesa: si comprano prodotti economici.
Passa ancora tempo, cominciano le privazioni, cercando di mantenere integra la dieta di Martina.
Passa ancora tempo e si rinuncia a comprare le medicine. I risparmi finiscono prima o poi. Qualcuno comincia ad osservarti di sbiego, la povertà sembra essere vissuta come una malattia contagiosa.

Comincia una sottile depressione latente che si combatte cercando di fare piccoli lavoretti di sartoria.
Si pensa di andare all’estero ma non sono più dei ragazzini. Loro lo sanno che le cose non cambieranno a breve, l’unica preoccupazione è il futuro di Martina, come potranno farla studiare?

Antonio è preparatissimo: la sua storia la conosco ma non posso raccontarla.
Guardo una cornice del loro matrimonio: lui è proprio un bell’uomo,moro con occhi chiari e lo sguardo di un uomo che sa quello che vuole, diventare uomo affermato e dare stabilità alla sua famiglia. L’ho intravisto un giorno, senza piu il suo bel sorriso, i suoi erano occhi di vetro.

Mi si fanno gli occhi umidi, non ce la faccio ,vorrei poterla aiutare ma anche io non me la passo bene, saluto Giulia e l’abbraccio e lei mi dice: “ti accorgi di essere povero quando per comprare un paio di lacci per le scarpe controlli il prezzo”.

Eccheccazzo: scoppio in singhiozzi e me ne vado.

Pare che qualcuno abbia detto che gli italiani pensano troppo ai soldi. Beh, mi viene da dire che la vita, e ciò che sta accadendo nell’indifferenza politica , è davvero una battaglia non tra il bene e il male, ma tra il male e il peggio.

7 Pensieri su &Idquo;La povertà ha gli occhi di vetro

  1. Coraggio, ogni storia si lega ad un’altra, ognuno si esprima e informi un’altro, si deve creare una catena infinita di storie unite ai nostri pensieri, ai nostri desideri. È tempo di agire, perche’ non c’è molto tempo, l’ Italia e molti di noi sono agonizzanti. Giusy

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    • Vero, è tempo di agire e lo è proprio sulla scorta di quanto affermi, Giusy.
      L’importante è riuscire a comprendere proprio che in questo momento si debba trovare unità sui gravi problemi che affliggono milioni di italiani e sui temi da portare avanti con maggior forza di prima.
      Ogni era di questo Paese, dal dopoguerra, ha avuto la sua Resistenza.
      Questa è la nostra.

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    • Io nel mio piccolo racconto la vita che fece mio padre nato nel periodo fascista, mi parlava dettagliatamente di quello che fu. Ho pubblicato così la prima parte di questo racconto che si protrarrà per tutta l’estate. Mio padre me ne parlava perché io non dimenticassi, ecco, è giunto il momento di dare anch’io la mia testimonianza. Buona giornata, Giusy

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  2. Questo raccontato, non è un caso sporadico di vite che stanno spegnendo la propria vitalità, basta andare vicino alle associazioni, agli enti che danno assistenza a chi è in difficoltà e lì la fila e lunga.
    Basta aggirarsi nella città per trovare sotto i portici o tra gli arbusti di un giardinetto delle accomodazioni.
    Artisti di strada, lavavetri, parcheggiatori, mani tese alla ricerca di un aiuto.
    Che pena!
    Mi sto avvicinando ai 60 e la mia generazione andava alla ricerca di fortuna (un lavoro) in Alta Italia, di tre figli i miei genitori, uno alla volta, ci hanno visto andare via tutti. Ora non c’è più neanche questa possibilità.
    I giovani tornano a fare gli emigranti fuori Nazione, proprio come le generazioni prima della mia e penso ai miei zii trasferitisi con tutta la famiglia in America.
    Ma chi perde il lavoro oggi è destinato a vivere in un limbo, nella totale assenza delle istituzioni.
    Solo carità.

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