Rien ne va plus. Il banco vince, lo Stato perde

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di Nello BALZANO

In un articolo del 1 agosto del Fatto Quotidiano – un’interessante intervista sul tema delle slot machines – si diceva che nel gioco d’azzardo legalizzato, il banco vince sempre quindi lo Stato che lo organizza in tutte le sue sfaccettature è di conseguenza il vincitore.

Tutto ciò sarebbe vero se valesse di più il facile populismo di uno Stato che in un’autonomia dispotica decidesse le sorti di un popolo, piuttosto che l’affermazione – che sento mia – “lo Stato siamo noi”.

Perché se è più vera la seconda opzione, personalmente non mi sento vincitore di niente nel campo del gioco d’azzardo. Non certo perché frequenti quell’ambiente da giocatore, ma per i risvolti che esso comporta nella nostra società: miliardi di euro che ruotano nel sistema locali pubblici trasformati in piccoli CASINO’. Con un solo scopo: creare facili introiti per un pozzo senza fondo.

Tutti ricordiamo come venivano all’inizio utilizzate le infernali macchinette nei bar, ti giocavi l’equivalente di un caffè, per conquistare un buono per una colazione completa, da lì il passo per trasformare illecitamente la vincita in contanti è stato breve, la malavita organizzata aveva creato un’altra attività redditizia.

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Sette lezioni critiche e la teoria del “meno peggio”

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di Turi COMITO

A otto anni dall’inizio della Grande Crisi del nuovo millennio credo si possa fare un breve sommario dei principali effetti, diretti e collaterali, che questa ha comportato per un pezzo di mondo (quello dell’Europa Occidentale in primis) dal punto di vista economico, sociale e politico.
Ho chiamato questo sommario “lezioni” ma è solo un promemoria senza pretese di completezza, giusto per riepilogare alcune cose (tra le tante) riepilogabili.

1) la Crisi nasce negli Stati Uniti come collasso del sistema finanziario privato dovuto all’ennesima bolla immobiliare. Banche dedite al prestito facile, alle stregonerie mobiliari (CDS, subprime, ecc.), agli investimenti d’azzardo e via dicendo crollano sotto il peso di crediti inesigibili e falliscono – creando disoccupazione, distruzione di ricchezza privata, impoverimento di milioni di persone – oppure (nella maggior parte dei casi) vengono salvate dalle finanze pubbliche, cioè dallo Stato, attraverso tassazioni supplementari per i propri cittadini o (come nel caso statunitense) attraverso una super produzione di moneta. Questo tipo di crisi, per effetto dei legami sempre più forti e intricati a livello mondiale tra gli istituti di credito privati, si trasferisce in Europa rapidamente. Nel frattempo manager e dirigenti a vario titolo di banche che avevano provocato direttamente e indirettamente con le loro dissennatezze e le loro frodi di massa il tracollo del sistema, piuttosto che essere fucilati in luogo pubblico ed accessibile a tutti vengono premiati con “superbonus” e/o addirittura diventano ministri (esemplare, e non unico, il caso di Henry Paulson, ex amministratore delegato di Goldman Sachs Group e Ministro del Tesoro del secondo governo Bush durante i primi anni della crisi);

2) In Europa la crisi finanziaria privata, attraverso una serie di giochetti politici e attraverso una propaganda liberista particolarmente bene organizzata, massiccia e, aggiungerei, violenta, viene trasformata in Crisi del sistema. Cioè nella pesantissima messa in discussione dei principi fondanti del sistema sociale che va sotto il nome di Welfare State e che ha caratterizzato l’impianto sociale, economico e politico di tutta l’Europa occidentale dal secondo dopoguerra in poi. In Europa si assiste ad un micidiale attacco ideologico contro alcuni dei cardini di questo sistema. L’attacco è principalmente rivolto:
a) al principio del debito pubblico quale elemento di redistribuzione della ricchezzaassociandolo all’idea di spreco e corruzione (sempre e in qualunque momento, senza eccezione alcuna);
b) al principio della protezione della parte più debole nella contrattazione di lavoro (in Italia lo smantellamento dello Statuto dei lavoratori) spacciando tale attacco come elemento di innovazione, di progresso, di allineamento agli standard mondiali;
c) al principio dell’intervento dello stato nell’economia – considerato dannoso, elefantiaco e inefficiente – messo in atto con una massiccia – ennesima – ondata di privatizzazioni in ogni settore economico di profitto e di non profitto sostenendo che solo un sistema economico totalmente privatistico garantisce efficienza, ricchezza generalizzata e molto altro ancora.

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