Stato, nazione, euro: hanno senso le lacerazioni interne alla sinistra?

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di Riccardo ACHILLI

La sinistra è incapace, specie quella italiana, di saper trovare soluzioni pragmatiche e di compromesso che le consentano di marciare unita, perlomeno verso obiettivi condivisi. Non è questa la sede per analizzare i motivi di ciò, credo che influisca il peso di tanta elaborazione culturale, come anche questioni più banali di egocentrismo intellettuale e di rancori mai sopiti, così come la coperta di Linus del senso di appartenenza identitaria che, specie in una fase di estinzione politica, fornisce (illusorie) sicurezze psicologiche, un pezzo di legno fradicio cui aggrapparsi mentre la corrente ti porta via per sempre. Non è però questo il tema che vorrei approfondire.

Il tema è quello dell’euro, dove, dentro l’esperienza fallimentare di Tsipras, si è aperto un enorme (e secondo me infruttuoso) dibattito identitario (cosa diversa da un genuino dibattito culturale) sul ritorno alla gestione statuale degli strumenti di politica economica, contrapposto ad un dogmatico internazionalismo.

Credo che sulla questione del rapporto fra sinistra e nazione, con riferimento al tema della trappola dell’euro, si faccia molta ed inutile confusione settaria, quando invece gli strumenti di ricomposizione sarebbero disponibili, solo ove si volesse cercare un confronto teso all’unità, e non alla spaccatura livorosa.

Il tema va inquadrato dentro quello del rapporto fra globalizzazione, Stati e nazioni, da un lato. E dall’altro, nel tema dei processi di liberazione nazionale, poiché è chiaro, oramai, dal calpestamento brutale della volontà popolare greca, espressa in un referendum ed in un precedente voto politico, che ci troviamo in una situazione nella quale una élite tecnocratica, poco democratica e molto autoreferenziale, decide le politiche economiche, non soltanto quelle monetarie, senza considerazione della volontà dei singoli popoli.

Se consideriamo la questione dell’euro un tema di liberazione nazionale da imposizioni esterne ai singoli popoli, penso che, prima di sparare cazzate e affibiare patenti di rossobrunismo e far risorgere dalla cripta assurdi internazionalismi proletari “senza se e senza ma”, avremmo il dovere intellettuale di esaminare la letteratura di chi, da sinistra, si è posto il tema concreto della liberazione nazionale del suo popolo da gioghi colonialisti o neo imperialisti. E la pratica di chi lo ha fatto politicamente, nel suo Paese.

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Yanis Varoufakis punta a creare un partito che in tutta Europa combatta contro l’austerità

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[Traduzione degli estratti dell’intervista a Yanis Varoufakis alla radio australiana ABC RadioNational a cura di Rosanna Ryan]

Quando il primo ministro greco Alexis Tsipras ha improvvisamente rassegnato le dimissioni la scorsa settimana, chiedendo nuove elezioni, il suo ex ministro delle finanze Yanis Varoufakis era in procinto di partire per la Francia.

La sua destinazione era la Fête de la Rose, un evento politico organizzato dal Partito socialista francese, che si tiene ogni anno nella piccola città di Frangy-en-Bresse, non lontano dal confine con la Svizzera.

Noi non abbiamo il diritto di stare di fronte al nostro popolo coraggioso che ha votato NO contro questo programma, e proporre a loro che lo miglioreremo, dato che sappiamo che questo non può essere attuato.

 

Mentre la pioggia scrosciava sul raduno, Varoufakis ha aperto il suo discorso con parole familiari a qualsiasi studente di politica marxista: ‘Uno spettro si aggira per l’Europa‘. Nell’adattamento di Varoufakis, lo spettro è quello della democrazia, e le potenze della vecchia Europa sono in contrapposizione alla democrazia nel 2015 come lo erano al comunismo nel 1848.

Per Varoufakis, gli eventi di quest’anno sono una ‘primavera di Atene’ che è stata schiacciato dalle banche dopo il voto del popolo greco contro l’austerità nel mese di luglio.

Ma, come ha spiegato a Late Night Live, lui non sarà in corsa per il parlamento greco alle elezioni di settembre, come egli non crede più in ciò che Syriza e il suo leader, Tsipras, stanno facendo.

“Il partito che ho servito e il leader che ho servito hanno deciso di cambiare rotta completamente e sposare una politica economica che non ha assolutamente senso, che ci è stata imposta”, dice.

“Non credo che saremmo dovuti arrivare al punto di firmare l’accordo, semplicemente perché nel giro di pochi mesi, la nave sta per colpire di nuovo le rocce. E noi non abbiamo il diritto di stare di fronte al nostro popolo coraggioso che ha votato un no contro questo programma, e proporre a loro che lo miglioreremo, dato che sappiamo che questo non può essere realizzato”.

Varoufakis respinge le “alleanze fragili” del passato

Ha simpatia per un gruppo di parlamentari ribelli conosciuti come Unità popolare, ma fondamentalmente non è d’accordo con il loro atteggiamento ‘isolazionista’ di desiderare un ritorno alla dracma. Invece, dice, la sua attenzione si è rivolta alla politica a livello europeo.

“Io non credo che il parlamento che emergerà dalla prossime elezioni può mai sperare di stabilire una maggioranza a favore di un programma economico razionale e progressista”, afferma.

“Invece di impegnarmi in una campagna elettorale che nella mia mente è molto triste e inutile, ho intenzione di rimanere politicamente attivo, forse più attivo di quanto io sia mai stato finora, a livello europeo, cercando di creare una rete europea”.

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