di Nello BALZANO
Ci sono momenti della vita che lasciano un segno, possono essere traumatici, ma possono arrivare anche da opportunità che si presentano per caso.
Quei momenti, quei periodi passano, ma ti possono cambiare, come quello che ho vissuto io, quando, dopo aver deciso di iscrivermi all’albo dei donatori di midollo osseo (ADMO), risultai identico ad un paziente in attesa di ricevere questa possibilità di cura, non sempre il risultato è la guarigione, ma la speranza che si possa risolvere la malattia ti dà la forza.
Non è di questo che voglio parlare, ma dei due giorni che ho trascorso in ospedale in attesa dell’espianto, due giorni non da sofferente, ma da persona in grado di osservare tutto ciò che ti accade intorno, in un reparto di malati di leucemia o di gravi malattie del sangue, per la maggior parte bambini e ragazzi giovani. Non c’è spazio per spensieratezza e sorrisi, se non per quelli che il personale medico e paramedico, con la sua professionalità, riesce a strappare.
Due episodi mi hanno colpito, il rancore di una bambina verso la madre, da mesi al suo capezzale, stanca del dolore, riversava la sua disperazione verso il genitore, voleva vedere altri familiari, voleva che se né andasse, è chiaro che ciò non erano le sue reali intenzioni, ma solo un modo di sfogare la sua rabbia verso qualcosa che la rendeva inerme nel letto.
Poi ci fu un secondo episodio che mi colpì e mi riguardò direttamente. Ero nella mia stanza poche ore dal ricovero entrò un infermiere insieme ad un paziente, il primo gli spiegò perché ero lì e lo sguardo del ragazzo si fece cupo: poco dopo uscì e l’infermiere, comprendendo quel momento di disagio, mi disse che il suo comportamento era dovuto al fatto che anche lui in attesa di trapianto, non ha potuto godere della possibilità, che gli poteva arrivare dal fratello, che accettava di sottoporsi solo in cambio di una cospicua cifra economica che non era nelle sue possibilità.