Donarsi

donarsi

di Nello BALZANO

Ci sono momenti della vita che lasciano un segno, possono essere traumatici, ma possono arrivare anche da opportunità che si presentano per caso.

Quei momenti, quei periodi passano, ma ti possono cambiare, come quello che ho vissuto io, quando, dopo aver deciso di iscrivermi all’albo dei donatori di midollo osseo (ADMO), risultai identico ad un paziente in attesa di ricevere questa possibilità di cura, non sempre il risultato è la guarigione, ma la speranza che si possa risolvere la malattia ti dà la forza.

Non è di questo che voglio parlare, ma dei due giorni che ho trascorso in ospedale in attesa dell’espianto, due giorni non da sofferente, ma da persona in grado di osservare tutto ciò che ti accade intorno, in un reparto di malati di leucemia o di gravi malattie del sangue, per la maggior parte bambini e ragazzi giovani. Non c’è spazio per spensieratezza e sorrisi, se non per quelli che il personale medico e paramedico, con la sua professionalità, riesce a strappare.

Due episodi mi hanno colpito, il rancore di una bambina verso la madre, da mesi al suo capezzale, stanca del dolore, riversava la sua disperazione verso il genitore, voleva vedere altri familiari, voleva che se né andasse, è chiaro che ciò non erano le sue reali intenzioni, ma solo un modo di sfogare la sua rabbia verso qualcosa che la rendeva inerme nel letto.

Poi ci fu un secondo episodio che mi colpì e mi riguardò direttamente. Ero nella mia stanza poche ore dal ricovero entrò un infermiere insieme ad un paziente, il primo gli spiegò perché ero lì e lo sguardo del ragazzo si fece cupo: poco dopo uscì e l’infermiere, comprendendo quel momento di disagio,  mi disse che il suo comportamento era dovuto al fatto che anche lui in attesa di trapianto, non ha potuto godere della possibilità, che gli poteva arrivare dal fratello, che accettava di sottoporsi solo in cambio di una cospicua cifra economica che non era nelle sue possibilità.

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La solidarietà è la nostra arma. Sul terzo memorandum in Grecia

syrian

di Francesca COIN

Un reportage da Atene, da Pedio tou Aeros, per capire che aria tira in Grecia e per conoscere la lezione di civiltà che la solidarietà greca sta impartendo all’Europa.

[Pubblicato l’11 agosto 2015 su Effimera]

* * * * *

Atene, Grecia.

Una lastra di cemento bagnata dal sole.

Cemento e asfalto, sopra e sotto, file di condomini costruiti durante la dittatura, identici e ossessivi, sempre sole, dentro e fuori i condomini, sempre sole sull’asfalto, sempre sole senz’aria.

Siamo a Pedio tou Areos, oramai da diversi giorni. Pedio tou Areos è un parco nel centro città in cui decine di tende sono diventate casa per centinaia di rifugiati in arrivo dall’Afghanistan e dalla Siria. Ci sono quaranta gradi anche dentro le tende, forse di più, ci sono quaranta gradi nel parco. Ci sono quaranta gradi nei bagni, di quelli di plastica che sanno di formaldeide, sei per cinquecento persone, ci sono quaranta gradi nella tenda per l’assistenza medica, quaranta gradi nei furgoncini che portano il cibo, quaranta gradi e centinaia di persone, anzitutto donne e bambini ma anche uomini giovani, e poi turisti politici come li chiamano, joggers, giornalisti e fotografi, tossici e spacciatori, anziani finiti sulle strade, ex carcerati, accattoni, prostitute e pastori.

I numeri li ha dati in questi giorni l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati: un quarto di milione di profughi sono arrivati in Europa dall’inizio del 2015 e di questi più della metà sono arrivati in Grecia, anzitutto nelle isole di Lesvos, Chios, Kos, Samos e Leros. Un aumento del 750% rispetto allo scorso anno – tale è l’effetto non tanto di un cambio nelle rotte migratorie ma della guerra diffusa in Siria, Afghanistan, Libia e ora Turchia.
L’Alto Commissariato delle Nazioni Unite parla di crisi umanitaria e chiede al governo ellenico di porle soluzione.

Evidentemente all’Alto Commissariato sono stati in vacanza negli ultimi cinque anni e nessuno gli ha detto che la Grecia è in bancarotta – la Grecia è stata strangolata e addirittura secondo la testata Ekathimerini nel mese di Agosto sarà in grado di pagare solo il 10% dei beni importati. In Grecia nessuna crisi umanitaria troverà soluzione: laddove il debito si avvita le crisi non finiscono ma proliferano e si moltiplicano come le malattie.

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