Finché morte non vi separi

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di Ivana FABRIS

Vorrei una sinistra unita, chi più di me?
Ma unita che significa?
Per me, che ci sia un programma condiviso e che scardini quello che ci ha portati a questo stato di cose, quello che ha distrutto la sinistra in Italia.

Chiaro, ognuno ha la sua idea in proposito, ma curare la malattia con ciò che l’ha generata è a dir poco folle, perchè quantomeno ci vorrebbero dosi omeopatiche che stimolassero la capacità dell’organismo a reagire e non è questo il caso.
Qui, invece, si fa mucchio, si va all’ammasso per fare numeri. Numeri elettorali, naturalmente, e quindi la malattia si rafforza.

In primavera si vota in parecchie città, non ultima Milano e serve unirsi, dicono e diciamo tutti, peccato che non si voglia unirsi per fare della buona politica di sinistra, ma no, che, scherziamo?

Serve unirsi per sconfiggere i candidati della destra, ci dicono, infatti tanto per cambiare il nemico è alla porta (un altro) e quindi olè, tutti a combattere contro invece di pensare a costruire una politica che sia di sinistra davvero, unica vera arma contro la destra.

Mah, è davvero questa l’unità che volete?
Compagni io vi capisco ma dico anche di fare attenzione perchè siamo nel guado: per me o si comprende quale sia la verità storica oggi e cosa serva fare, o si fa il gioco di chi si garantisce e si vuole garantire rendite di posizione o piccoli e grandi poteri personali che però non sono il bene del paese, eh?

Ma ieri, al Teatro Quirino, pensate realmente che chi era presente, tra i vari nomi famosi, avesse in animo e a cuore i 15.000.000 (QUINDICI MILIONI) di poveri esistenti in Italia?

Se lo pensate, vi chiedo cortesemente di argomentare nel merito e se mi convincerete, vi sarò eternamente grata.

E vi sarò eternamente grata anche se riuscirete a convincermi che tutto quello andato in scena ieri, non sia solo marketing politico.

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Sinistra? Le decisioni dall’alto non funzionano

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Andrea BOSIO

La storia dovrebbe insegnare, ma è una maestra spesso inascoltata.

Il concilio di Firenze giunse alla ricomposizione dello scisma d’oriente e, con il decreto Laetentur coeli del 6 luglio 1439, riunificò la Chiesa d’occidente con quella d’Oriente, apparente conclusione di una separazione dettata da questioni disciplinari, politiche e teologiche.

Fu una riunificazione fallimentare, durata un ventennio: di fatto si trattava di una scelta dei vertici gerarchici, dell’episcopato, mai compresa dai fedeli.

Vent’anni dopo a Oriente – cioè in Grecia e Turchia, ciò che rimaneva dell’Impero bizantino – i fedeli ancora non percepivano ancora unità: i vescovi di allora, seguendo quel sensus fidelium oggi spesso dimenticato in area cattolica, ribadirono lo scisma, constatando la totale nullità degli accordi di Firenze. Quel concilio ecumenico è l’esempio di come una decisione presa dall’alto, non spiegata e non spiegabile al popolo e da questa non condivisa, sia destinata a fallire su tutta la linea. Oggi, infatti, lo scisma permane, nonostante i tavoli ecumenici e con non poche responsabilità dei cattolici.

L’insegnamento del concilio fiorentino del 1439 dovrebbe essere istruttivo in questa fase della costruzione di una nuova sinistra: grandi movimenti si intuiscono tra Vendola, Fassina e Civati, partiti che nascono ed esperienze che viaggiano verso la loro conclusione. Come a Firenze, anche nella sinistra italiana è tutto un lavorio di classe dirigente che non segue il suo popolo, che oggi è un vero e proprio elettorato abbandonato.

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L’unità della sinistra. Ovvero, la grande ammucchiata

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di Franz ALTOMARE

Chi di noi non desidera l’Unità della Sinistra?
Ma quanti di noi sono capaci di spiegare cosa potrebbe essere questa unità, oltre il cartello elettorale utile a riciclare politici alle svendite da fallimento?
La sinistra d’apparato è il cancro della sinistra.

Se chiedi a uno qualsiasi dei sostenitori dei vari Civati, Vendola, Ferrero, Revelli quali potrebbero essere i primi tre obiettivi di una coalizione di sinistra degna di questo nome,
nessuno sa rispondere.
Nessuno!

Tutto il loro impegno è nel copia incolla fatto male di Syriza (che, dobbiamo confessarcelo, ha fallito), di Podemos ( che deve ancora passare il vaglio di una eventuale vittoria elettorale)… per il resto nessuna idea.

I presunti leader a loro volta fanno discorsi vaghi e non dichiarano nemmeno un obiettivo concreto di governo che dovrebbe costituire la base del consenso.
A loro basta essere eletti e ai loro sparuti elettori è sufficiente che i loro idoli vengano eletti.
Ma per fare cosa?
Resta un mistero.
Continuo a leggere documenti politici (se così si possono definire) e dichiarazioni astruse provenienti da quella parte che si dice di sinistra ma che è il vero ostacolo all’avvio di un processo di emancipazione politica.
Ci sono domande (poche) e piagnistei (tanti), ma non c’è una risposta.

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Unions, unions, unions!

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di Michele CASALUCCI

Uno spettro si aggira per l’Italia: lo spettro della speranza. La speranza che questa sia infine la volta decisiva (e buona, al di là degli slogan governativi) per riuscire ad unificare in una unità di movimento diverse e specifiche anime del complesso firmamento che costellano l’universo disperso (e a volte disperato) di una possibile alternativa al sistema.

Al sistema globale, fatto di mercificazione delle risorse fondamentali dell’uomo, dei beni comuni, dell’acqua, della terra, ormai definitivamente preda di un sistema gestito da un pugno di multinazionali che determinano i processi fondamentali del dominio e dell’impoverimento progressivo di grandi masse di popoli, di gente, di uomini e donne che popolano, in condizioni sempre più misere e miserabili il pianeta; genti costrette a lavorare con salari di fame, ad accettare condizioni di lavoro pessime, al limite della schiavitù, esposte ai danni incalcolabili e irrecuperabili di produzioni e processi produttivi nocivi agli individui e alla sopravvivenza stessa del pianeta.

Al sistema europeo, dominato dalle logiche del capitale finanziario, asservito alle logiche dell’austerità e alle conseguenti scelte politiche che determinano quotidianamente l’arretramento di un welfare faticosamente raggiunto e costruito in decenni di lotte e di conquiste sociali e che oggi,vedono il loro progressivo appannamento (nei casi migliori) e la loro totale scomparsa, nella maggioranza dei casi, a favore dell’utile di ristrette oligarchie sociali che attraverso scelte monetaristiche a livello europeo e scelte nazionali miopi e subalterne, gravano sempre più prepotentemente sui livelli di vita e di reddito di una compagine sociale fortemente indebolita e disperatamente dispersa.

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